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Il trattamento sanitario obbligatorio come salvavita in presenza di disturbi dell’alimentazione: una scelta complessa

I disturbi dell’alimentazione in generale e l’anoressia nervosa in particolare sono malattie mentali associate a grave disabilità,
scarsa qualità della vita ed elevato tasso di mortalità e l’anoressia nervosa si pone tra le principali cause di mortalità tra le giovani
donne. Nonostante i danni fisici e psicosociali determinati dall’anoressia nervosa, le persone che ne sono colpite spesso non ritengono
il basso peso e la restrizione calorica estrema un problema e sono ambivalenti nei confronti del trattamento. Alcune arrivano a rifiutare le cure, pur presentando gravi complicanze mediche, mettendo in serio pericolo la loro vita. Da qui la necessità di valutare come nei casi più complessi che rifiutano interventi ritenuti per loro necessari sia opportuno o necessario far ricorso a un trattamento sanitario obbligatorio (TSO). A tutt’oggi permangono opinioni divergenti nei confronti del TSO nell’anoressia nervosa: alcuni considerano il TSO negativo per la relazione terapeutica, altri ritengono che debba essere considerato un trattamento compassionevole e come tale attuato, altri ancora che debba essere utilizzato come trattamento salvavita. Comunque sia, il TSO deve essere sempre ponderato con la massima attenzione perché viene considerato dalla legge la forma massima della limitazione della libertà personale. Le istituzioni politiche debbono fornire un chiaro quadro di riferimento per la società e gli operatori, mentre le istituzioni sanitarie debbono porsi il problema dell’adeguatezza delle risorse disponibili (non solo in termini di posti letto ma anche di operatori qualificati) rispetto ai bisogni degli utenti, dell’organizzazione e dell’integrazione dei servizi sul territorio dedicati al trattamento dei disturbi dell’alimentazione.


Riv Psichiatr 2017; 52(5):180-188 Il Pensiero Scientifico Editore

Il trattamento sanitario obbligatorio come salvavita in presenza di disturbi dell’alimentazione